Durante il periodo romano la ricerca oncologica conobbe una grande produzione scientifica, ma rimase sempre ancorata alla tradizione ippocratica a causa dell’ipse dixit
La ricerca oncologica ha accompagnato l’uomo sin dalle più antiche civiltà occidentali. Le prime documentazioni relative alla malattia tumorale, infatti, risalgono all’Antico Egitto, mentre già nell’Antica Grecia, in particolare grazie all’opera di Ippocate di Coo, ne veniva studiata la patogenesi e venivano sperimentate cure e terapie. È durante il periodo ellenico, infatti, che viene data la prima definizione specifica di “cancro”, distinguendo quest’ultimo dal semplice tumore.
Dopo che la Grecia divenne parte dell’Impero Romano nel 146 a.C., ai medici greci fu concessa la cittadinanza romana e un posto dove stabilirsi a Roma. Tra i nuovi cittadini-medici c’era Aulus Celsus – Celso – (25 a.C.-50 d.C. ). Celso divenne un influente medico romano e rese il latino la lingua della medicina. Continuò la tradizione ippocratica, a partire dalla similitudine tra il cancro e il granchio che invade le strutture circostanti con le sue zampe e le sue chele, passando per la teoria degli umori, rimasta per secoli accettata come un dogma a causa dell’ “ipse dixit“, rallentando così la ricerca oncologica.

Nel suo “De Medicina“, Celso descrisse una grande varietà di tumori superficiali, ma ricordò anche i carcinomi relativi a organi viscerali e parenchimali, quali lo stomaco, il colon, il fegato e la milza. Egli era solito trattare i tumori superficiali con applicazione topica di cavolo bollito ed una salata miscela di miele e uovo bianco. Per i carcinomi raccomandava una terapia chirurgica precoce e aggressiva. Sapeva che i tumori al seno in stato avanzato avevano (e hanno) la tendenza a ripresentarsi sotto l’ascella, con o senza gonfiore del braccio, e possono causare la morte diffondendosi ad organi distanti.
Rimedi per il cancro vennero descritti e redatti da Plinio il Romano (23-79 dC) nel suo scritto “Materia Medica“. Raccomandava rimedi erboristici e altri composti ad uso interno per quanto riguarda i carcinomi in stato avanzato, prima e/o dopo aver tentato un intervento chirurgico. La sua ricetta più apprezzata era una singolare miscela bollita di cenere di granchi di mare, albume d’uovo, miele e feci di falchi in polvere.
La prima descrizione completa di sintomi, segni e trattamento del cancro dell’utero fu fatta da Aretaeus (81-138 d.C.), che visse e praticò la medicina ad Alessandria d’Egitto. Egli scrisse nelle sue note che c’erano due distinte forme di cancro: una era ferma al tatto e non sterilizzata, mentre l’altra era maleodorante e ulcerata.

Entrambi i tumori erano associati a dolore e gonfiore all’inguine. Considerava entrambe le lesioni croniche e mortali, ma in particolare a quella ulcerata non era attribuibile alcuna possibilità di guarigione. Considerava, inoltre, il sanguinamento uterino, associato all’allargamento dell’utero, come una condizione incurabile. Aretaeus è anche ricordato per la sua descrizione clinica di elefantiasi, ittero e pleurite, nonché per il primo accurato resoconto del diabete, a cui ha dato il nome tutt’ora in uso.
Il pensiero dei romani sul cancro, così come di tutto il mondo allora conosciuto, passò sotto l’influenza di Claudio Galeno (130-200), nato in Grecia, che praticò la medicina a Roma. Egli sosteneva che la bile nera spessa causasse il cancro ulcerato e incurabile, mentre la bile gialla sottile fosse responsabile del cancro non ulcerato e parzialmente curabile. Pur essendo un chirurgo designato per la cura dei gladiatori, accettò il pregiudizio romano nei confronti del trattamento chirurgico del cancro. Galeno tentò di riformulare la patogenesi dei tumori. Nel secondo libro del “De Naturalibus Facultatibus” egli utilizzò il termine cancro per indicare “una malattia che si caratterizza con un ingrossamento, una protuberanza e il cui nome deriva dalla somiglianza che le vene gonfiate dal tumore hanno con le zampe del granchio“.

Secondo Galeno, per impedire lo sviluppo di tumori bisognava evitare che la bile nera – ancora eredità della teoria degli umori di Ippocrate -, si fissasse in un determinato tessuto. Con l’insorgere della malattia il paziente poteva essere curato con l’aiuto di medicamenti, diete equilibrate, somministrazione di veleni e, solo nei casi più gravi, l’asportazione chirurgica o la cauterizzazione. Se i tumori non potevano essere operati si somministrava all’infermo, con mero biettivo palliativo, estratto di papavero per lenire il dolore.
Galeno fu uno scrittore molto prolifico. Scrisse, infatti, più di 100 note su cancri, tumori e sarcomi, più di tutti i suoi predecessori. I suoi scritti furono tradotti dal greco al latino e furono ampiamente distribuiti, in copie manoscritte, in tutti i paesi noti. Le sue teorie dogmatiche ben si adattavano alla teologia cristiana e agli insegnamenti bizantini e arabi e, come quelle di tradizione ippocratica, anche le sue teorie rimasero dogmatiche per molti secoli.
FONTI:
Hajdu SI, Thun, MJ, Hannan, LM, Jemal, A, A note from history: landmarks in history of cancer, part 1., in Cancer, vol. 117, nº 5, marzo 2011, pp. 1097–102, DOI:10.1002/cncr.25553, PMID 20960499;
Link: https://acsjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/cncr.25553
2) Paul of Aegina, 7th Century AD, quoted in Ralph W. Moss, Galen on Cancer, CancerDecisions, 2004. Referenced from Michael Shimkin, Contrary to Nature, Washington, D.C.: Superintendent of Document, DHEW Publication No. (NIH) 79-720, p. 35.
Link: https://web.archive.org/web/20110716111312/http://www.cancerdecisions.com/speeches/galen1989.html
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