L’attualità dell’ipocondria: quando la cancrofobia sfocia nella cybercondria

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Se un banale mal di testa che ti affligge dal primo mattino ti induce a cercare su internet e, quindi, alla conclusione apodittica che il tuo è un tumore al cervello, allora significa che in realtà stai soffrendo di cybercondria” (John Markoff su New York Times nel 2008).

Quell’agente patogeno, mille volte più virulento di tutti i microbi, l’idea di essere malati” (Marcel Proust).

Agli inizi del Novecento, il celebre scrittore parigino descriveva con queste parole quel senso di inquietudine che pervade l’animo di quanti vivono nella convinzione di essere afflitti da un male inesorabile. Ormai da tempo egli aveva abbandonato la vita mondana, chiudendosi in una totale reclusione, nel buio notturno di una stanza rivestita di sughero, in mezzo alle tisane e ai suffumigi per curare l’asma di cui soffriva sin dall’infanzia.

Nella storia della letteratura, numerose altre volte la condizione di quanti avvertono quell’ingiustificata convinzione e quella paura irreale di essere affetti da una grave malattia – cui si è dato il nome di “ipocondria” – ha costituito un tema narrativo variamente descritto, esplorato e raccontato.

Già un paio di millenni fa, Ippocrate descrisse il “male degli ipocondri” ossia un disordine dello stomaco e della mente che procurava problemi nella digestione, grande melanconia e paura di morire. Gli antichi greci ritenevano che proprio nella zona addominale avessero sede i sentimenti e le passioni.

In effetti, l’ipocondrio – in anatomia – è la parte superiore e laterale della cavità addominale, situata dietro le ultime costole e inferiormente al diaframma, nella quale sono situati il fegato (nell’ipocondrio destro) e la milza (nell’ipocondrio sinistro).

Secondo la medicina moderna, la costante preoccupazione per la propria salute e l’interpretazione di qualsivoglia sintomo fisico, anche il più lieve, come il segno di una malattia grave (o addirittura mortale) sono i più evidenti comportamenti posti in essere da una persona sofferente di ipocondria, patologia che può insorgere a qualsiasi età e senza alcuna distinzione di sesso.

Oggi, nel “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” per identificare questa condizione patologica è utilizzata – in luogo del termine ipocondria (opportunamente accantonato anche per la sua connotazione negativa) – l’espressione “disturbo d’ansia da malattia” con cui si intende una esagerata e pervasiva preoccupazione di essere affetto o di poter contrarre una patologia grave ed invalidante, peraltro connotata da un esito sicuramente nefasto. Tale disturbo consegue ad un distorto approccio rispetto a sintomi spesso di per sé benigni, ma che vengono invece interpretati e vissuti quali segnali di una seria patologia. Da questo disturbo conseguono effetti rilevanti sul piano personale (sviluppo di una percezione di sé come persona debole, fragile, vulnerabile alle malattie nonché incapace di gestire l’eccessiva emotività derivante da tale condizione) e sul piano relazionale (soprattutto in termini di qualità dei rapporti interpersonali, condizionati dal continuo bisogno di essere rassicurati). La relativa diagnosi è confermata quando paure e sintomi persistono per un periodo superiore a sei mesi, nonostante la piena rassicurazione fornita a seguito di accurata valutazione medica.

La patologia temuta può interessare diverse parti dell’organismo o può trattarsi di un singolo organo e di una sola malattia.

Le persone affette da tale disturbo si recano ripetutamente dal medico e chiedono di essere sottoposti a continui esami e terapie. Raramente viene scoperto un oscuro malanno fisico, che comunque non giustifica i sintomi descritti dal paziente.

In genere, questo disturbo rappresenta una complicanza di altri disturbi psicologici (comportamento ossessivo-compulsivo, fobia, ansia generalizzata, schizofrenia, depressione) oppure malattie cerebrali (demenza, tumori cerebrali). In assenza delle forme patologiche citate, la causa reale dell’ipocondria non appare del tutto chiara. Sembra più frequente nelle persone che abbiano sofferto di una reale malattia organica durante l’infanzia o siano stati costantemente a contatto con parenti ammalati. La ragione di ciò potrebbe risiedere nel fatto che la persona coinvolta in tali esperienze diventerebbe “programmata” a reagire in maniera eccessiva a qualsivoglia sensazione corporea, sebbene possa esservi anche una ipersensibilità ereditaria al dolore. Tra gli ulteriori fattori causali che possono predisporre un individuo a tale disturbo vi sono le tensioni sociali e il tipo di personalità, in genere ostinata. Quando risulta presente una delle forme morbose mentali elencate, può rendersi opportuno – in caso di necessità – un adeguato trattamento terapeutico. Spesso la comprensione e la disponibilità del medico contribuiscono ad alleviare la sofferenza del paziente.

Come accennato, queste preoccupazioni e paure possono riguardare qualsivoglia patologia, oppure focalizzarsi su una specifica malattia, come – appunto – un tumore.

Tale eventualità può essere scongiurata ponendo in essere una costante attività di prevenzione che associ la periodicità di screening medici ad un sano stile di vita.

Talvolta, il timore nei confronti del cancro può diventare un pensiero persistente, ossessivo, ingiustificato nonché associato a manifestazioni ansiogene e depressive. Questa condizione è identificata col termine “cancrofobia” e può manifestarsi attraverso molteplici sintomi, di natura fisica (alterazione del battito cardiaco, mal di testa, senso di vertigine) e psicologica (rimuginio, comportamento evitante, attacchi d’ansia, attacchi di panico, eccessiva attenzione del proprio corpo, continuo bisogno di rassicurazione).

La cancrofobia rappresenta una manifestazione molto frequente nel più vasto panorama del “disturbo d’ansia da malattia”.

Sebbene chiunque possa provare un giustificato e ragionevole timore di fronte all’eventualità di una grave malattia come il cancro, le persone cancrofobiche ne sono ossessionate. In certi casi, gli individui affetti da tale disturbo si sottopongono a ripetuti check-up, finendo col trascorrere buona parte della propria esistenza tra consulti medici ed esami clinici. In altri casi, il disturbo si manifesta diversamente, e le persone coinvolte vivono costantemente nella convinzione di essere ammalate, ma preferiscono non rivolgersi ad alcun medico né sottoporsi ad accertamenti, perché non vogliono sapere, in parte per il recondito timore che un eventuale responso possa confermare i loro peggiori presagi e in parte per il bisogno di permanere in una condizione di incertezza.

Si può ulteriormente distinguere tra quanti provano una paura ossessiva del cancro, in quanto l’hanno già vissuto, ma – pur essendone ormai completamente guariti – seguitano a temere che possa ripresentarsi, e quanti, invece, non sono mai stati ammalati. Nel primo caso, lo stravolgimento già vissuto nella propria esistenza ha attivato un meccanismo psicologico dal quale è molto difficile uscire, anche quando si è ormai fuori dal pericolo di recidive. Nel secondo caso, le origini di tali paure angosciose possono essere individuate in eventi luttuosi intervenuti nella sfera familiare o amicale.

Come sopra accennato, colui che versa in tale angosciosa paura si sottopone a frequenti esami clinici (o, al contrario, eviterà di recarsi dal medico per il timore di ricevere un responso che confermi quanto temuto), si documenterà continuamente sulla patologia temuta, oppure accederà in modo spasmodico ad internet alla ricerca di risposte ai propri sintomi.

In certi casi, il comportamento consistente nella continua ricerca online legata alla personale sintomatologia può sfociare nella “cybercondria”, moderna condizione patologica inserita nel già citato “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”, che descrive un modello comportamentale caratterizzato dalla tendenza persistente a ricercare su internet informazioni mediche, in associazione ad un progressivo incremento dei livelli di ansia relativi al proprio stato di salute. 

Il termine “cybercondria” nasce dall’unione dei termini “cyber” (primo elemento di parole composte della terminologia informatica angloamericana che rimanda e fa riferimento alla sfera digitale, alludendo all’interazione tra uomo e computer) e “ipochondria” (il cui significato etimologico è “sotto il diaframma”, parte dell’addome dalla quale – secondo la medicina ippocratica – originava la malinconia).

Pubblicazioni sulla cybercondria

Un primo studio condotto da due ricercatori di Microsoft – pubblicato nel 2009 su “ACM Transactions of Information System” – ha evidenziato come l’autodiagnosi porti tendenzialmente a sopravvalutare il supposto problema di salute, contribuendo a generare un ingiustificato stato d’ansia. Dalla relativa indagine è risultato che circa il 2% della totalità delle ricerche effettuate sul web riguarda la sfera della salute e circa un terzo del campione analizzato (5000 dipendenti di Microsoft) ha approfondito gli esiti della prima ricerca fino a giungere a siti e pagine che trattavano patologie serie e, in certi casi, addirittura incurabili o rare. Oltre la metà del suddetto campione ha dichiarato che la ricerca di informazioni mediche ha interrotto almeno una volta il lavoro e le attività quotidiane.

Le informazioni ottenute dalle ricerche relative all’assistenza sanitaria possono influenzare le decisioni delle persone su quando rivolgersi a un medico per la diagnosi o la terapia, su come trattare una malattia acuta o far fronte a una condizione cronica, così come il loro approccio generale a mantenere la loro salute (…). Le informazioni tratte dal web possono influenzare il modo in cui le persone riflettono e prendono decisioni sulla loro salute e benessere, (…) compresi i comportamenti in materia di dieta, esercizio fisico e prevenzione”.

Da un altro studio pubblicato nel 2013 su National Library of Medicine è risultato che “la relazione tra la frequenza delle ricerche su internet di informazioni mediche e l’ansia per la salute è diventata sempre più forte con l’aumentare dell’intolleranza all’incertezza”.

Nel 2019 è stata pubblicata sulla rivista “Journal of affective disorders” una metanalisi (ovvero uno studio che attraverso tecniche statistiche consente di combinare i dati di più ricerche riguardanti un medesimo argomento al fine di generare un unico dato conclusivo) che indagava la relazione intercorrente tra l’ansia per la salute, la ricerca di informazione online e la cybercondria. All’esito di tale indagine è risultata un’associazione tra ansia e ricerca di informazioni sanitarie online, ma – soprattutto – tra ansia per la salute e cybercondria. In particolare è emerso che le persone con ansia da malattia dedite a ripetute ricerche online nel tentativo di trovare risposte rassicuranti sul proprio stato di salute sono quelle a maggior rischio di incorrere in esiti controproducenti. Pertanto, tale comportamento non reca alcun giovamento psicologico, ma – al contrario – contribuisce a mantenere o, addirittura, a peggiorare lo stato d’ansia da malattia.

In un articolo pubblicato nel 2021 sulla rivista Discover Magazine si legge che “se qualcuno dovesse valutare la causa del proprio mal di testa sulla base della frequenza con cui le varie ragioni compaiono nei risultati di ricerca, il suo senso di quanto sia probabile sviluppare un tumore al cervello sarebbe drasticamente distorto rispetto a quelle che sono le reali probabilità”.

Dunque, preso atto che la ricerca sul web può distorcere la personale percezione della reale natura dei propri sintomi, resta da comprenderne i motivi.

Una delle spiegazioni potrebbe essere individuata nel fatto che per un numero consistente di siti presenti sul web alimentare un po’ di “terrorismo sanitario” risulta – talvolta – economicamente profittevole, in quanto attrae con maggiore facilità i click degli utenti online. Tale deprecabile fenomeno riguarda siti internet scarsamente affidabili dal punto di vista medico-scientifico e poco accurati sul piano delle fonti; ma tali siti – essendo strategicamente ottimizzati per i motori di ricerca – riescono ad ottenere notevole visibilità ed evidenza. Purtroppo, su internet sono presenti cattive e fuorvianti informazioni mediche, veicolate da siti che mirano esclusivamente ad attrarre il maggior numero possibile di visitatori, in totale e cinico dispregio del dovere ad una corretta opera di informazione in materia di salute. Ad essere attratti sono soprattutto gli utenti che – per inesperienza o per limiti culturali – non sono in grado di distinguere una fonte attendibile da una pagina “acchiappa click”. Per altro, l’accesso compulsivo da parte della persona cybercondriaca sul web viene altresì alimentato dal modo in cui internet presenta e fornisce le informazioni, basandosi su algoritmi che promuovono la parola o l’informazione più cliccate (sovente quelle più drammatiche e allarmanti) anziché quelle più coerenti con la domanda posta dall’utente.

Tutto questo è oltremodo inaccettabile ed esecrabile allorquando contenuti e messaggi fuorvianti abbiano ad oggetto patologie gravi e invalidanti, come il cancro.

Ancora il citato articolo pubblicato su Discover Magazine riporta che “Anche se le informazioni sanitarie sul web svolgessero un compito corretto nello spiegare i rischi in cui si incorre, i sintomi possono comunque risucchiare le persone nella più classica voragine psicologica. È noto come Effetto Barnum: un fenomeno che prende piede quando le persone leggono una descrizione e pensano che si applichi specificamente a loro, nonostante gli attributi siano talmente generali che potrebbero applicarsi a chiunque”.

A questo punto, proviamo ad inquadrare i principali aspetti del comportamento delle persone che incorrono nella cybercondria.

  1. La ricerca di informazioni sanitarie sul web ha carattere compulsivo ed è motivata principalmente dalla necessità di ottenere una risposta rassicurante.
  2. Nel caso in cui l’attività di ricerca online riesca a produrre un iniziale sollievo e rassicurazione, tale sensazione di serenità si rivela del tutto momentanea e ad essa subentra – durante e dopo le ricerche online – un crescente stato da distress e ansia.
  3. La ricerca di informazioni sanitarie sul web diventa prioritaria rispetto ad ogni altro interesse e attività della persona, nonostante le conseguenze emotive negative patite durante e dopo gli accessi online.
  4. L’apparente sfiducia nelle professioni mediche. In alcuni casi, la persona affetta da cybercondria si rivolge a un medico specialista in cerca di supporto, ma il sollievo che ne trae risulta di breve durata e finisce con l’essere sopraffatta da paure crescenti sul proprio stato di salute. In altri casi, il distorto convincimento acquisito a seguito delle compulsive ricerche sul web può indurre la persona – in occasione della visita presso un medico – a non riferire i sintomi non compatibili con la propria errata ipotesi diagnostica, esponendosi così al rischio di non ricevere (o di ritardare) le terapie più adeguate.

Come guarire dalla cybercondria

Proviamo di seguito a evidenziare i passi da seguire per guarire dalla cybercondria.

  1. Acquisire consapevolezza: prendere atto di soffrire di tale disturbo, ossia dell’abitudine di ricercare compulsivamente informazioni mediche online e interpretare in modo distorto ed erroneo i propri sintomi.
  2. Limitare le ricerche online: ridurre il tempo impiegato su internet nella ricerca di risposte ai propri sintomi, impostando – se necessario – limitazioni temporali o blocchi nell’accesso a determinati siti web medici.
  3. Affidarsi a fonti qualificate e attendibili: in caso di ricerche sul web in materia di salute, accedere a siti affidabili come quelli di organizzazioni mediche o istituti di ricerca accreditati, verificando sempre la presenza e la composizione del comitato scientifico e la accuratezza nei riferimenti alla letteratura scientifica. Dunque, evitare forum e siti non verificati che potrebbero fornire informazioni fuorvianti e alimentare ansie ingiustificate.
  4. Fidarsi sempre dei professionisti della salute: consultare il medico di base o uno specialista cui confidare ogni personale preoccupazione e chiedere chiarimenti sui propri sintomi, al fine di ottenere una corretta diagnosi e un adeguato trattamento terapeutico.
  5. Supporto sociale: confidarsi con familiari e amici, partecipare a gruppi di condivisione e aiuto (anche online) per ricevere sostegno emotivo. Condividere le personali esperienze con altre persone consente di ridurre la condizione di isolamento e individuare opportune strategie per gestire e limitare la cybercondria.
  6. Eventualmente, fare ricorso a terapia cognitivo-comportamentale (TCC): prendere in considerazione l’eventuale supporto di uno psicologo o di un terapista specializzato in TCC. Tale terapia potrebbe costituire un valido aiuto nell’identificazione e nel cambiamento dei pensieri distorti e ansiosi associati alla cybercondria.

Dunque, pur riconoscendo il potenziale beneficio che il libero accesso online alle informazioni in materia di salute può avere nella nostra vita, è opportuno operare sul web in maniera equilibrata e consapevole, senza mai prescindere dal ricorso ai professionisti della salute.

In tal senso, ricercare ed ottenere informazioni sanitarie sul web può avere un effetto positivo nel limitare le barriere comunicative tra utenza e professioni sanitarie, favorendo una virtuosa ed empatica interazione in merito alle attività diagnostiche e alle eventuali opzioni terapeutiche.

Avv. Michele Ametrano


Fonti:


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