La libertà terapeutica del medico

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In oncologia, il medico si trova ad operare – sovente – nell’ambito del possibile o del probabile, secondo schemi connotati da valenza statistica e contrassegnati da immanente incertezza riguardo ai risultati raggiungibili ed agli esiti concreti. Tale incertezza deve essere associata alla libertà terapeutica del medico, che concerne – oltre alla cura – i distinti momenti della diagnosi e della prescrizione

Nell’arte medica, soprattutto in quella dedita all’individuazione di rimedi contro il cancro, l’assenza di leggi e discipline aventi valenza universale, nonché dimostrative di certe e costanti connessioni tra diversi fenomeni e, in quanto tali, idonee a costituire il fondamento per la predeterminazione di rimedi terapeutici validi per ogni patologia e per ogni paziente che ne sia affetto, comporta – quale naturale, logica e necessitata implicazione – il riconoscimento della libertà di chi la esercita.

In oncologia, il medico si trova ad operare – sovente – nell’ambito del possibile o del probabile, secondo schemi connotati da valenza statistica e contrassegnati da immanente incertezza riguardo ai risultati raggiungibili ed agli esiti concreti.

Tale incertezza deve essere necessariamente associata alla piena autonomia tecnico-operativa di ogni medico.

Il Codice di deontologia medica sancisce la prerogativa di libertà professionale del medico disponendo che “L’esercizio professionale del medico è fondato sui princìpi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità. Il medico ispira la propria attività professionale ai princìpi e alle regole della deontologia professionale senza sottostare a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura” (Articolo 4 – Libertà e indipendenza della professione. Autonomia e responsabilità del medico).

Dunque, ad ogni medico è riconosciuto il diritto all’autonomia nell’esercizio della propria attività professionale, ovvero alla libertà terapeutica, che concerne – oltre alla cura – i distinti momenti della diagnosi e della prescrizione.

Tra l’altro, l’autonomia – configurando il più qualificante connotato dell’indipendenza professionale del medico – realizza l’interesse costituzionale di salvaguardia della salute, di cui l’ordinamento rende garante proprio il sanitario.

Il principio di autonomia del medico conduce a tre fondamenti che ne rappresentano l’indiscussa forza e autorevolezza, ossia “l’etica della competenza” e “l’etica della cura” entrambe saldamente integrate con “l’esigenza di riconsegnare l’etica alla plurale concretezza del mondo e della vita” (il principio di responsabilità di Hans Jonas).

Ma non può sussistere autonomia senza competenza, né competenza senza un atteggiamento di cura, ben sapendo che nei loro confronti il medico detiene una responsabilità indifferibile, e che deve sempre rivendicare agendo secondo “scienza e coscienza”.

Questo profilo trova puntuale riscontro nel Codice deontologico, secondo cui “Il medico fonda l’esercizio delle proprie competenze tecnico-professionali sui princìpi di efficacia e di appropriatezza, aggiornandoli alle conoscenze scientifiche disponibili e mediante una costante verifica e revisione dei propri atti. Il medico, in ogni ambito operativo, persegue l’uso ottimale delle risorse pubbliche e private salvaguardando l’efficacia, la sicurezza e l’umanizzazione dei servizi sanitari, contrastando ogni forma di discriminazione dell’accesso alle cure” (Articolo 6 – Qualità professionale e gestionale).

Ne consegue, nell’ambito delle attività mediche, il diritto – pienamente riconosciuto e tutelato – alla libertà prescrittiva in ogni scelta terapeutica.

In merito alla libertà prescrittiva riconosciuta al medico, il Codice deontologico stabilisce che “La prescrizione a fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione è una diretta, specifica, esclusiva e non delegabile competenza del medico, impegna la sua autonomia e responsabilità e deve far seguito a una diagnosi circostanziata o a un fondato sospetto diagnostico” e “deve fondarsi sulle evidenze scientifiche disponibili, sull’uso ottimale delle risorse e sul rispetto dei princìpi di efficacia clinica, di sicurezza e di appropriatezza” (Articolo 13 – Prescrizione a fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione)

In tale contesto, l’intera classe medica deve avere piena consapevolezza – anche nei rapporti con le istituzioni – del rilevante valore della libertà prescrittiva.

Pochi anni fa, la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sul Decreto Legge n. 78/2015 nella parte concernente la “Determinazione da parte del Ministero della Salute delle condizioni di erogabilità e appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e gli effetti della prescrizione da parte dei medici di prestazioni inappropriate”. Nell’intenzione del citato Ministero, con questo decreto – attraverso l’imposizione ai medici di limitazioni e vincoli alla loro attività prescrittiva – si intendeva rispondere ai costi della cosiddetta “medicina difensiva”.

In tale occasione, la Consulta – con la sentenza del 12 Luglio 2017 n. 169 – ha ridotto gli obblighi stabiliti dal suddetto decreto ad un semplice “invito”, azzerandone di fatto la portata vincolante per il medico, cui non possono essere certamente vietate le prescrizioni ritenute necessarie nel caso concreto, né può essere pregiudicata la prerogativa di operare secondo “scienza e coscienza”.

Nella citata sentenza, la Consulta ha riconosciuto la piena libertà prescrittiva del medico, ribadendo il “carattere personalistico delle cure sanitarie, sicché la previsione legislativa non può precludere al medico la possibilità di valutare, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, il singolo caso sottoposto alle sue cure, individuando di volta in volta la terapia ritenuta più idonea ad assicurare la tutela della salute del paziente (ciò in conformità alla precedente sentenza n. 151 del 2009). È, quindi, assolutamente incompatibile un sindacato politico o meramente finanziario sulle prescrizioni, poiché la discrezionalità legislativa trova il suo limite nelle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica: sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l’autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”.

Secondo la Consulta, alla luce di tale indefettibile principio, la “appropriatezza prescrittiva” ed i parametri contenuti nel citato decreto devono essere intesi – come prima accennato – nel senso di un “invito al medico prescrittore” a rendere trasparente, ragionevole e informata la consentita facoltà di discostarsi dalle indicazioni contenute nel decreto medesimo.

È stato in precedenza evidenziato che agire autonomamente secondo scienza e coscienza – per ogni medico – non può prescindere dalla competenza professionale, ossia dal diritto-dovere di accedere alle conoscenze adeguate.

La piena libertà di scegliere e prescrivere farmaci e cure deve essere supportata dalla dimostrazione che l’appropriatezza di ogni opzione terapeutica è fondata su accettabili evidenze scientifiche e dati statistici.

Attualmente, soprattutto nel campo della medicina oncologica, gli indicatori di verifica e di monitoraggio dell’appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici, ovvero le mappe di assistenza adoperate per pianificare e seguire in modo sistematico un programma di assistenza centrato sul paziente, dimostrano che l’efficienza del sistema in cui si sviluppano i suddetti processi diagnostico-terapeutici prevale sul contributo del singolo medico nella filiera della cura e sull’uso di farmaci innovativi nella terapia adottata.

Nel Codice di deontologia medica è degno di particolare attenzione un altro articolo – vera e propria norma di chiusura del principio di libertà di valutazione del medico – secondo cui “Il medico può rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici, a meno che il rifiuto non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona, fornendo comunque ogni utile informazione e chiarimento per consentire la fruizione della prestazione” (Articolo 22 – Rifiuto di prestazione professionale).

In favore del principio della libertà terapeutica di ogni medico, si è pronunciata a suo tempo anche la Suprema Corte di Cassazione, con una nota sentenza che ha così testualmente argomentato: “È corretto valorizzare l’autonomia del medico nelle scelte terapeutiche, perché l’arte medica, mancando per sua natura di protocolli scientifici a base matematica, spesso prospetta diverse pratiche o soluzioni che l’esperienza ha dimostrato efficaci, da scegliere con attenta valutazione di una quantità di varianti che solo il medico può apprezzare; tale valore di libertà nelle scelte terapeutiche non può essere avventato né fondato su semplici esperienze personali. Una volta effettuata la scelta, il medico deve restare vigile osservatore dell’evolversi della situazione, in modo da poter intervenire immediatamente in caso di urgenza, qualora capisca che la scelta fatta non era quella appropriata; quando tutto ciò sia stato realizzato, il medico non può rispondere di un eventuale insuccesso; il giudice, per valutare la correttezza della scelta terapeutica operata dal medico e l’eventuale imperizia del suo operato, deve operare un giudizio ex ante, collocandosi cioè mentalmente nel momento in cui il medico è chiamato a operare la scelta e considerando anche la consistenza scientifica di questa” (Cassazione – Sezione IV, sentenza n. 301/2001).

Avv. Michele Ametrano

FONTI:

  • Hans Jonas – “Il principio di responsabilità” (1979);
  • Amedeo Santosuosso – “Libertà di cura e libertà di terapia. La medicina tra razionalità scientifica e soggettività del malato” (1998).

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