Secondo i risultati di uno studio pubblicato su Cancer, il regime alimentare mediterraneo, che già sappiamo esser utile nella prevenzione dei tumori al colon e al seno, potrebbe costituire un valido aiuto alla riduzione del rischio di progressione di alcune neoplasie prostatiche
In ciascuna area geografica, più o meno estesa, è rinvenibile un modello nutrizionale ispirato alle locali consuetudini alimentari. Indubbiamente, il modo di preparare e consumare il cibo rappresenta uno dei fondamenti più tangibili dell’identità culturale e della continuità di una vita comunitaria. In certi casi, questa identità si rivela talmente definita da generare modelli capaci di superare i confini territoriali o alimentari, espandendosi così in una dimensione globale.
A tal proposito, la dieta mediterranea costituisce un caso particolarmente emblematico ed esemplare. La sua denominazione si deve allo scienziato statunitense Ancel Keys, che intese identificare un tradizionale stile alimentare da lui scoperto e studiato nel bacino del Mediterraneo fin dalla metà del secolo scorso. Per la prima volta nella storia della medicina, le ricerche epidemiologiche da lui compiute sulle patologie cardiovascolari rivelarono che la longevità delle popolazioni affacciate sul Mediterraneo, in particolare quelle del Meridione italiano, trovava una spiegazione nelle abitudini alimentari, nei costumi sociali e nelle produzioni locali.
Una denominazione di così agevole comprensione consentì – fin dalla sua coniazione – di identificare con estrema semplicità un complesso insieme di pratiche e di tradizioni, meritevoli di esser divulgate, dal momento che potevano garantire in qualsiasi altra parte del mondo elevati standard di salute (anche ai ceti meno abbienti).
Nel primo studio epidemiologico osservazionale sulla dieta mediterranea – noto come “The Seven Country Study” (Studio delle Sette Nazioni) – Ancel Keys pose a confronto i regimi alimentari adottati da sette Paesi alquanto diversi tra loro relativamente alle abitudini a tavola (Stati Uniti, Italia, Finlandia, Grecia, Jugoslavia, Paesi Bassi e Giappone). Complessivamente, vennero selezionati oltre 12000 individui di età iniziale compresa tra i 40 e i 59 anni, monitorati nei decenni successivi, con la finalità di individuare una correlazione tra alimentazione e salute cardiovascolare.
Tale studio evidenziò che nelle aree geografiche in cui si seguiva il regime alimentare mediterraneo risultava il più basso tasso di incidenza al mondo di patologie cardiovascolari.
L’aspettativa di vita in queste aree è risultata la più alta nel mondo, anche in ragione della minore incidenza di tumori e malattie croniche legate all’alimentazione.
Lo studio citato e le ricerche successive hanno individuato un peculiare stile alimentare, quale è appunto la dieta mediterranea, che si basa sul consumo prevalente di alimenti di origine vegetale quali cereali integrali e derivati (pasta e pane integrali), legumi, frutta, verdura, noci, semi e olio extravergine di oliva, sul consumo moderato di pesce, carni bianche, uova, latticini e vino rosso e – infine – sul consumo assai ridotto di carni rosse e grassi animali.
La frugalità, la semplicità e il costante svolgimento di attività fisica costituiscono importanti fattori che caratterizzano ulteriormente la dieta mediterranea.
I pasti non devono essere abbondanti, preferibilmente di piccole porzioni, ma comunque contenenti tutti i nutrienti necessari.
Negli ultimi decenni, la letteratura scientifica ha fornito diversi elementi per elaborare qualche ipotesi in merito alle ragioni dell’effetto protettivo della dieta mediterranea sulla salute. In primo luogo, si è evidenziato il fatto che tale stile alimentare è caratterizzato dal consumo di cibi a ridotta densità calorica, come verdura, frutta, cereali e legumi che – peraltro – garantiscono un apporto di fibra in grado di proteggere l’organismo dall’insorgenza di numerose malattie croniche. In secondo luogo, sono state comprovate molte attività biologiche benefiche per il nostro organismo da parte di composti presenti quasi esclusivamente in alimenti di origine vegetale; a tale riguardo, alcune particolari componenti – protagoniste della dieta mediterranea – si dimostrano fondamentali per la prevenzione di tante malattie: le proprietà dei polifenoli contenuti nella frutta, nella verdura, nei semi e nell’olio extravergine di oliva, di pigmenti come i carotenoidi e di vitamine (come la C e la E) che agiscono da antiossidanti.
Ulteriori studi hanno riconosciuto in misura pressoché unanime che il regime della dieta mediterranea rappresenta il migliore approccio alimentare per proteggere la salute dalle patologie cardiovascolari, neurodegenerative e oncologiche.
In virtù delle sue importanti peculiarità, la dieta mediterranea è stata riconosciuta come bene protetto e patrimonio immateriale dell’umanità.
Il Comitato Intergovernativo della Convenzione UNESCO sul Patrimonio Culturale Immateriale – in accoglimento della candidatura transnazionale di Italia, Spagna, Grecia e Marocco (estesa successivamente anche a Cipro, Croazia e Portogallo) – ha approvato a Nairobi (Kenya) in data 16 Novembre 2010 l’iscrizione della Dieta Mediterranea nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale. Con questa delibera è stato conferito ufficiale e solenne riconoscimento alle pratiche tradizionali, alle conoscenze e alle abilità che – attraverso la loro costante trasmissione generazionale – hanno contribuito a radicare nelle comunità mediterranee un senso di appartenenza e di continuità.
La dieta mediterranea va ben oltre un semplice elenco di alimenti o una tabella nutrizionale. Trattasi di uno stile di vita integrato, inclusivo di saperi, competenze, riti, simboli e tradizioni riguardanti la coltivazione, la raccolta, la pesca, l’allevamento, la conservazione, la cucina e – in particolar modo – il consumo e la condivisione del cibo. In effetti, consumare un pasto in compagnia costituisce un elemento connotante l’identità culturale delle popolazioni affacciate sul Mediterraneo, area geografica in cui i valori dell’ospitalità, del vicinato, del dialogo interculturale e della creatività si integrano vicendevolmente e – nel contempo – si coniugano con il rispetto del territorio e della biodiversità.
Da un recente studio realizzato da un team di ricercatori presso la University of Texas M. D. Anderson Cancer Center a Houston – pubblicato sulla rivista Cancer – è risultato che la dieta mediterranea può ridurre il rischio di progressione del tumore alla prostata.
Nel corso dell’indagine – diretta dall’assistente professore di urologia Justin R. Gregg – si è proceduto al monitoraggio degli effetti dei diversi modelli nutrizionali su un gruppo di 410 pazienti (di età media pari a 64 anni) affetti da tumore prostatico in fase iniziale (grado Gleason 1 e 2). In base all’origine etnica, i pazienti erano per l’82,9% caucasici, per l’8,1% afroamericani e per il restante 9% di altra (o sconosciuta) provenienza. Inoltre, tra i pazienti monitorati, il 15% soffriva di diabete e il 44% assumeva statine.
Tutti i pazienti sono stati seguiti con un protocollo di sorveglianza attiva, vale a dire con controlli attenti e ravvicinati, e nessuno di essi aveva ancora ricevuto alcun trattamento (chemio o radio terapico).
Per comprendere meglio l’impatto della dieta mediterranea sulla progressione del tumore prostatico, i ricercatori hanno chiesto ai pazienti di compilare un complesso questionario sulle proprie abitudini alimentari all’inizio del percorso di cura.
Successivamente, i partecipanti sono stati ripartiti in nove gruppi, in base al livello energetico del regime alimentare osservato. Quindi, si è proceduto alla loro suddivisione in tre gruppi, a seconda del grado di adesione ai dettami della dieta mediterranea (basso, medio e alto).
Nello studio è stato previsto un punteggio finalizzato alla misurazione del grado di adesione alla dieta mediterranea (più elevato, se tale stile alimentare era osservato in modo più stretto). Inoltre, sono state considerate alcune varianti in grado di incidere sull’andamento della malattia (età, caratteristiche cliniche, uso di statine o presenza di diabete), procedendo agli opportuni aggiustamenti matematici.
All’esito dell’indagine è stata rilevata una marcata associazione tra un punteggio di base elevato e un rischio inferiore di progressione del grado tumorale.
Per ogni aumento di un’unità nel punteggio della dieta mediterranea, gli studiosi hanno osservato che il rischio di progressione del tumore prostatico si è ridotto almeno del 10 per cento.
La dieta mediterranea costituisce una strategia tutt’altro cha invasiva per il miglioramento della salute. Pertanto, è auspicabile che i risultati di questa indagine – i quali necessitano di conferme in ulteriori studi, coinvolgenti gruppi di pazienti più ampi e diversificati – possano indurre i pazienti a modificare i propri comportamenti e abitudini, adottando un più sano stile di vita.
Avv. Michele Ametrano
Fonti:
- Ancel Keys, Alessandro Menotti, Martti J. Karvonen, Christ Aravanis, Henri Blackburn, Ratko Buzina et al. – “The diet and 15-year death rate in the Seven Countries Study” in American Journal of Epidemiology, Volume 124, Number 6, pp. 903-915 (1986). Link: https://doi:10.1093/oxfordjournals.aje.a114480
- Justin R. Gregg, Xiaotao Zhang, Brian F. Chapin, John F. Ward, Jeri Kim, John W. Davis, Carrie R. Daniel – “Adherence to the Mediterranean diet and grade group progression in localized prostate cancer: An active surveillance cohort” in Cancer (2021). Link: https://doi.org/10.1002/cncr.33182
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