La “fatigue da cancro”: cos’è, come si riconosce e come si cura

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Recentemente sono state pubblicate sulla rivista Annals of Oncology le nuove “Linee Guida Europee sulla diagnosi e il trattamento della Fatigue”. Questo importante documento, oltre ad indicare i criteri per riconoscere questo sintomo, raccomanda lo screening mirato per ogni paziente ed evidenzia le cure più efficaci

Durante il percorso della malattia, uno dei sintomi più comuni e debilitanti per i pazienti oncologici – di ogni età e con ogni tipologia di diagnosi – è costituito da una sensazione soggettiva di estrema e persistente stanchezza fisica, emotiva e cognitiva, di frustrante esaurimento e debolezza; trattasi di uno stato di malessere talmente profondo e intenso, da limitare o rendere impossibili lo svolgimento anche delle azioni più semplici della vita quotidiana.

Stiamo parlando della fatigue da cancro”, un sintomo che può colpire i pazienti già dalla scoperta della malattia, ma che affligge in modo severo la quasi totalità (80-90%) dei malati sottoposti a chemioterapia, da sola o in abbinamento con la radioterapia, e che nel 30% dei casi persiste per molti anni dopo la conclusione delle cure. Allorquando si manifesta in forma cronica, neanche un periodo di adeguato riposo può essere di giovamento al paziente per il recupero delle proprie energie.

La fatigue si caratterizza per un senso di diffuso malessere percepito dal paziente oncologico, che finisce con l’incidere assai negativamente sull’aderenza alle terapie, sullo stato psico-fisico e sulla qualità della vita.

Come accennato, l’impatto della fatigue nella vita del paziente oncologico è tale da comportare enormi difficoltà nel compimento delle attività quotidiane (anche quelle normalmente destinate alla cura della propria igiene e del proprio aspetto), oltre a serie conseguenze incidenti sulle energie fisiche e mentali, sulla qualità del sonno, sulla emotività, nonché sulla capacità di concentrarsi, memorizzare ed esprimersi.

In considerazione della sua natura multidimensionale (circostanza che ne rende non sempre agevole la diagnosi), l’insorgenza della fatigue può trarre origine da cause diverse e, talvolta, anche concomitanti.

In particolare, può essere associata all’anemia (dovuta direttamente al tumore oppure provocata dalla tossicità delle cure chemioterapiche e radioterapiche); tuttavia, non è raro che ne siano affetti anche pazienti oncologici con livelli di emoglobina nei limiti della norma.

La fatigue può essere indotta anche da alcune sostanze prodotte dal cancro che alterano il metabolismo, rendendo meno efficiente la produzione di energia da parte dell’organismo e inducendo la spiacevole sensazione di spossatezza.

Inoltre, può costituire un effetto collaterale comune di diversi tipi di trattamento farmacologico (chemioterapia, ma anche immunoterapia).

Alcuni farmaci cosiddetti di nuova generazione, possono comportare una significativa incidenza della fatigue; a tal proposito, determinate terapie ormonali sono efficaci e in genere ben tollerate dal paziente, tuttavia – dovendo essere somministrate per lunghi periodi – la fatigue può avere in questi casi ripercussioni maggiormente rilevanti sulla qualità della vita.

Recentemente, un team di oncologi europei (guidato da Alessandra Fabi, Responsabile dell’Unità di Fase 1 e Medicina di Precisione dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma) – all’esito di accurati studi e dopo la revisione delle più importanti evidenze scientifiche al riguardo – ha pubblicato sulla rivista Annals of Oncology le prime “Linee Guida Europee sulla diagnosi e il trattamento della Fatigue (approvate dalla European Society of Medical Oncology).

Questo importante documento è stato redatto con l’intento di mettere a disposizione degli operatori sanitari specializzati in àmbito oncologico un valido e prezioso supporto per una corretta comprensione e diagnosi della fatigue ed, altresì, per la individuazione delle più efficaci strategie di intervento.

Innanzitutto, il testo citato riporta i seguenti criteri per definire e diagnosticare la fatigue: esaurimento delle energie, bisogno di riposare che non si spiega con un aumento dell’attività svolta, problemi emotivi e cognitivi. Tutto questo, per un periodo di tempo prolungato e con un impatto importante sulla qualità della vita sociale e lavorativa. 

Gli autori di questo studio hanno posto in particolare rilievo la necessità di cercare attivamente – mediante uno screening mirato – la presenza della fatigue, ben prima che sia il paziente oncologico a dichiararsi spossato (e senza comprenderne il motivo). Insomma, secondo le nuove linee guida, gli operatori sanitari specializzati devono verificare con regolarità lo stato di affaticamento del paziente oncologico durante e dopo i trattamenti, valutando attentamente anche altri eventuali fattori potenzialmente incidenti sulla condizione di malessere (dolore fisico e psicologico, anemia, effetti dei farmaci, depressione, malnutrizione, disfunzioni tiroidee, nonché problemi polmonari, cardiaci o renali).

Quanto alla cura per la fatigue, il documento evidenzia che la più efficace strategia contro l’affaticamento cronico nei pazienti oncologici consiste nell’esercizio fisico, il quale – oltre a ridurre il senso di stanchezza, lo stato infiammatorio e gli effetti collaterali delle terapie farmacologiche – giova in termini di miglioramento della forza fisica e muscolare, nonché della capacità aerobica.

Dunque, è consigliato – compatibilmente con le condizioni del paziente – un programma strutturato di esercizio fisico mirato all’aumento della massa muscolo-scheletrica del malato oncologico e consistente in almeno 150 minuti settimanali di attività aerobica (camminata a circa 5 km/h), cyclette o esercizi in casa, oppure esercizi di rafforzamento e di flessibilità.

Oggi, a differenza di quanto si riteneva in passato, allorquando ai pazienti oncologici con sintomi da fatigue veniva consigliato il riposo, sono dimostrati gli innumerevoli benefici apportati dal movimento fisico. Ovviamente, deve trattarsi di un’attività fisica adeguata. I pazienti oncologici che avvertono i sintomi della fatigue non sempre versano nella fase avanzata della malattia e spesso si trovano nella fase di terapia adiuvante (vale a dire quella che segue l’intervento chirurgico).

Pertanto, sia durante che dopo tali trattamenti terapeutici, passeggiare o andare in bicicletta (magari in compagnia), fare le scale, portare la borsa della spesa, giocare con un bambino – oltre alla dimostrata funzione di contrasto alla perdita di massa muscolare e all’indebolimento generale (provocati dai periodi di ridotta mobilità cui sono costretti i malati oncologici), di beneficio al sistema cardio-vascolare e di miglioramento del senso di equilibrio (fattore che, a sua volta, riduce il rischio di cadute) – sono attività che possono contribuire a ridurre i sintomi della fatigue e recare giovamento in termini di recupero di autostima e buon umore.

Dunque, sia durante che dopo tali trattamenti terapeutici, il paziente oncologico – per rendere meno difficile il recupero muscolare, oltre che emotivo – non dovrebbe cedere alla sensazione di inerzia causata dalla fatigue e alla tentazione più immediata di abbandonarsi quotidianamente all’inattività fisica.

Secondo le citate linee guida, non esistono ancora evidenze scientifiche circa gli effetti derivanti dalla somministrazione al paziente oncologico affetto da fatigue di integratori e prodotti nutraceutici (ginseng, carnitina, vischio, astragalo, guaranà) o da farmaci di varia tipologia (psicostimolanti o antidepressivi).

Nel documento sono evidenziati buoni risultati (ma effetti collaterali da controllare) derivanti soltanto dalla somministrazione di alcuni corticosteroidi (desametasone e metilprednisolone), il cui impiego è comunque consigliato per limitati periodi di tempo nei pazienti con tumore metastatico.

Inoltre, le linee guida raccomandano colloqui informativi ed educativi al fine di rendere ogni paziente consapevole sulla natura dell’affaticamento cronico da cancro e, dunque, preparato a prevenire la fatigue e a difendersi da essa.

In tal senso, è stato dimostrato che interventi di supporto psico-sociale orientati al benessere mentale del paziente e alla sua capacità di gestione delle emozioni – vale a dire, terapie cognitive comportamentali, tecniche di “mindfulness” (attenzione e consapevolezza mentale), percorsi per l’apprendimento di strategie di “coping” (adattamento), psicoterapia individuale e terapia di gruppo – possono aiutare a ridurre la fatigue, a migliorare l’umore e la qualità del sonno, insieme alla qualità generale della vita di ogni paziente.

Infine, anche alcune tecniche di rilassamento mentale (esercizi di meditazione o ascolto di musica) cui dedicarsi in parte della giornata possono costituire ulteriore supporto nella gestione dello stress, inevitabilmente correlato alla sensazione di cronica spossatezza e alla sofferenza cagionata dal trattamento del cancro.

Dunque, è necessario che la ricerca clinica presti la dovuta attenzione – oltre che alle terapie antitumorali vere e proprie – alla gestione dei sintomi e degli effetti collaterali, come appunto la fatigue.

Tutto questo è importante, perché liberarsi dalla fatigue consente al paziente di riprendere in mano la propria esistenza in maniera totalizzante e con la dovuta consapevolezza di un ritrovato equilibrio della personale sfera psico-corporea.

Avv. Michele Ametrano

FONTE:


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