Un farmaco per il tumore alla prostata potrebbe combattere il Covid-19

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Da uno studio dell’Università di Padova arriva l’ipotesi che un farmaco utilizzato per il tumore alla prostata potrebbe bloccare l’enzima che facilita l’ingresso del coronavirus nelle cellule

Nell’attesa di avere una sempre maggiore disponibilità di informazioni sul Sars-CoV-2 – il coronavirus responsabile della malattia respiratoria Covid-19 – in modo da ricavarne un vaccino, le sperimentazioni terapeutiche si stanno basando su altri tipi di farmaci disponibili. È in quest’ottica che si inserisce l’ipotesi che arriva dall’Università di Padova secondo la quale un farmaco utilizzato per curare i tumori della prostata potrebbe essere in grado di combattere il virus.

Nella prostata c’è un enzima che facilita l’ingresso del coronavirus nella cellula – ha spiegato all’Agi Francesco Pagano, uno dei ricercatori da cui è nata questa ipotesi – si tratta del Tmprss2, che è studiato come marcatore tipico del tumore alla prostata. Riteniamo che usando la terapia antiandrogena, si potrebbe allora anche bloccare il coronavirus. Questo perché si presume che il meccanismo sia lo stesso“. Infatti, nei pazienti oncologici questo meccanismo viene bloccato attraverso l’utilizzo di ormoni anti-androgeni.

La costruzione di questa ipotesi ha avuto due fasi. Durante la prima, i ricercatori dell’Università di Padova hanno notato che nessuno dei pazienti trattati a Padova con le terapie ormonali anti-androgene aveva contratto il coronavirus. In un secondo momento, l’indagine è stata estesa a tutto il Veneto anche grazie al supporto della Regione. “Abbiamo visto – continua Pagano – che su 130 pazienti con tumore alla prostata colpiti da Covid-19 nessuno seguiva questa terapia mentre fra le persone trattate con anti-androgeni nessuna è risultata positiva.

Questo potrebbe spiegare anche perché il virus tende a colpire maggiormente gli uomini in età avanzata, ovvero quella fase in cui “comincia a manifestarsi l’ipertrofia prostatica e diventa più facile per l’enzima, il Tmprss2, penetrare nelle cellule, causandone l’alterazione“. L’indagine del centro di ricerca è incentrata particolarmente sulle forme più aggressive del tumore alla prostata. Ciò che la rende particolarmente degna di nota è il fatto che, confrontando i risultati ottenuti con i dati che arrivano da Wuhan, sembrerebbe esserci una congruenza. Gli scienziati cinesi, infatti, “riferiscono di aver tra i malati di Covid-19 pochi pazienti con tumore alla prostata che invece, come immunodepressi, si dovrebbero ammalare più facilmente“.

C’è, però, una puntualizzazione che arriva da Andrea Alimonti – coordinatore del gruppo di ricerca di Padova – e che, per il momento, frena gli entusiasmi. “Prima di tutto – afferma – bisogna capire se l’inibitore usato per la prostata è in grado di bloccare l’enzima Tmprss2 anche nelle cellule del polmone, che sono quelle attaccate dal coronavirus. Non abbiamo ancora conferme dirette che ciò avvenga nell’uomo, perché sono necessarie ricerche complesse che richiederanno più tempo. Gli esperimenti sui topi, tuttavia, confermano questa ipotesi“.

Tuttavia, stando a quanto dichiara Silvio Garattini – fondatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri – il trial clinico potrebbe richiedere “tempi relativamente brevi“, basandosi quest’ultimo su di un set di farmaci già in commercio, “per i quali si conoscono già dosi ed effetti collaterali“.


EMERGENZA CORONAVIRUS

In merito all’emergenza coronavirus, la Fondazione Bartolo Longo III Millennio ha disposto un presidio informativo e di supporto per i pazienti oncologici impegnati in cicli di chemioterapia.
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