L’immunoterapia può aiutare ad evitare ricadute nei tumori delle vie urinarie

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Un trattamento con immunoterapia dopo la chirurgia potrebbe ridurre il rischio che la malattia si ripresenti dopo l’asportazione di vescica, uretere o reni

Un trattamento di immunoterapia, somministrato dopo l’intervento per rimuovere un tumore delle vie urinarie potrebbe aiutare ad evitarne le ricadute. A mostrarlo sono i risultati di uno studio statunitense pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine, il quale ha coinvolto più di 700 pazienti con carcinoma uroteliale muscolo-invasivo [1] sottoposti a intervento chirurgico con rimozione dell’organo colpito.

“Il trattamento standard per questi tumori prevede l’intervento chirurgico, ma, nonostante la chirurgia, circa la metà dei pazienti va incontro a una ricaduta” scrivono Dean F. Bajorin e Alfred Witjes, principali autori dello studio , spiegando il motivo per cui si rendono necessarie nuove strategie più efficaci da affiancare alla rimozione della massa tumorale.

I ricercatori hanno suddiviso il campione complessivo di 709 pazienti in due gruppi: agli appartenenti al primo (composto da 353 unità) è stato somministrato, dopo l’intervento chirurgico, il farmaco immunoterapico nivolumab per via endovenosa ogni due settimane per un intero anno; al secondo gruppo di pazienti (356) è stato invece dato un placebo, anche in questo caso ogni due settimane. I risultati hanno mostrato che la durata media della sopravvivenza libera da malattia è raddoppiata nel primo gruppo, arrivando a superare i 20 mesi rispetto ai 10 del gruppo che aveva ricevuto il placebo. La cura immunoterapica ha anche ridotto il rischio di metastasi a distanza.

Nel gruppo in terapia con il nivolumab, tuttavia, si sono verificati più effetti collaterali rispetto all’altro gruppo, ma tutti in linea con quanto ci si aspettasse dall’uso di questo farmaco. Da non trascurare, inoltre, il fatto che la qualità della vita non è peggiorata nei pazienti trattati con immunoterapia rispetto a quelli del gruppo placebo.

“Alcune analisi aggiuntive – spiegano gli autori – suggeriscono che l’effetto del trattamento potrebbe essere anche maggiore in alcuni sottogruppi di pazienti, ma al momento si tratta solo di ipotesi che devono essere verificate con studi più mirati”. La speranza, ora, è che la terapia venga in primis approvata dagli enti regolatori statunitensi. Dopo tale approvazione, in genere anche l’Europa (e con essa l’Italia) potrebbe recepire le nuove indicazioni nel giro di qualche mese.

[1] Si tratta di un tumore che invade, oltre all’organo interessato, anche gli strati muscolari e per questo motivo è considerato ad alto rischio.

FONTI:


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