“Presto, se fortunati, torneremo a qualche versione delle nostre libertà precedenti. E se siamo fortunati, solo una volta, faremo le cose che desideriamo fare ora come se non potessimo farle mai più”
L’epidemia di Covid-19 ha impattato in maniera dirompente sulle nostre vite. D’un tratto abbiamo dovuto cambiare le nostre abitudini, rinunciare alla nostra quotidianità, spesso ai nostri affetti. Ma, soprattutto, abbiamo rinunciato a qualcosa di molto prezioso che spesso diamo per scontato: la nostra libertà.
Libertà intesa non solo come assenza di limitazioni alla mobilità – restrizione oggi necessaria al contenimento del contagio – ma anche come consapevolezza di poter fare, di poter andare. Una consapevolezza che, spesso, ci porta a dare per scontate tante cose della cui importanza ora, in un momento di tale incertezza, ci rendiamo conto.
“Ora stiamo vivendo una lunga sete di quella sete, tutti noi, collettivamente ancorati ai nostri divani – e per una buona ragione – mentre sfogliamo le mappe e ricordiamo i piaceri del passato. Stiamo imparando l’effetto dolcificante della negazione, quanto più splendide sono le vedute ora che non possiamo più vederle”. È quanto scrive sul New York Times Neil King – scrittore ed ex editore di economia globale presso il Wall Street Journal – che nella sezione “Opinion” racconta di come l’esperienza della malattia oncologica lo abbia portato oggi ad affrontare in maniera consapevole la vita “sotto” l’epidemia di coronavirus.
“Un respiro profondo. Un’enorme inalazione collettiva. Se hai mai avuto una di quelle diagnosi che ti fanno saltare dalla sedia e rivalutare tutto, saprai cosa intendo. Sarai in sintonia con questo ‘momento di coronavirus’. Ho avuto una diagnosi del genere circa tre anni fa. Sono uscito barcollando dall’ambulatorio e ho subito iniziato a calcolare le cose che volevo fare ancora una volta”.
Un po’ tutti, dunque, in questa fase abbiamo fatto i conti con qualcosa di molto concreto, ma che spesso tendiamo a dimenticare: i limiti dell’essere umano e della vita. Quando siamo costretti a distaccarci dalla frenesia delle routine quotidiane e l’incertezza del futuro piomba dinanzi a noi siamo portati a ripensare e rivalutare le nostre relazioni, il nostro rapporto con la vita e con il tempo – limitato – che abbiamo a disposizione. È ciò che accade quando si riceve una diagnosi tremenda come quella relativa alla malattia neoplastica. Ed è ciò che è accaduto ora al mondo con il coronavirus.
“Da allora – scrive King –, tra ricadute e recuperi, ho riorientato la mia relazione con il tempo e le aspettative. Ho visto la bellezza della vita nel piano di sei mesi, che è qualcosa del genere: abbi fiducia nell’arco di tempo che sai di avere; estrai da questo tempo tutto ciò che puoi; non guardare oltre. Questo approccio può aggiungere grande potenza e grande valore a ogni cena condivisa, ogni concerto, ogni passeggiata nel parco, ogni nuotata, ogni carezza”.
Ripensare. Ripercorrere i tratti della propria vita che più ci hanno resi felici, grati. Fare quella che King chiama “just-one-more-time list”, la lista di cose da rifare almeno una volta. “La mia lista post-diagnosi era semplice, a suo modo severa, ma mortalmente seria. Soprattutto, volevo tornare, ancora una volta, al cottage che avevamo acquistato quattro estati prima su un porto sull’isola di Cape Breton, in Nuova Scozia. Alla fine del Nord America. Dal nostro portico è possibile vedere l’ultimo rantolo della catena appalachiana prima che precipiti nell’Atlantico”.
“Quel cottage incarnava la semplicità estiva, ma il mio vero desiderio era a poche miglia lungo la costa. Se fossi riuscito a superare l’autunno, l’inverno, la primavera; la chemio, la radiazione, la chirurgia; se fossi rimasto ancora tutto d’un pezzo e non consumato dal mio aggressore, avrei voluto solo andare a White Point. E lì sulla punta di quel magico tonfo di roccia spazzato dal vento, per nuotare nel mare schiumoso come avevo fatto con le mie figlie per quattro estati di fila”.
Si tratta di un riorientamento della propria rotta. Un cambio di programma del proprio viaggio, in quanto ci si rende conto di voler percorrere o ripercorrere alcune tappe che prima avevamo dimenticato o non considerato. “Ora stiamo tutti riorientando, rivalutando, riordinando ciò che conta da ciò che non è importante. Dalla paura e dall’incertezza di questo momento, dallo shock di questa privazione globale, potremmo persino estrarre un amore più profondo per tutto ciò che ci viene dato”.
Una fase che, dunque, nella sua drammatica tragicità offre anche un aspetto educativo: ha messo tutti noi nei panni di chi d’un tratto si trova privato delle proprie certezze, delle proprie sicurezze e – ancora troppo spesso – del proprio futuro.
“Presto, se fortunati, torneremo a qualche versione delle nostre libertà precedenti. E se siamo fortunati, solo una volta, faremo le cose che desideriamo fare ora – l’enorme cena con gli amici, il concerto alla Carnegie Hall, il trekking attraverso le Alpi – come se non dovessimo farlo mai più in seguito. Più saggi per la scossa, ci prenderemo il nostro tempo prima di restituire tutto ciò che ci è stato dato”.
E forse, se fortunati, quando tutto per noi sarà finito, riusciremo a capire ancora meglio chi – come il malato oncologico – vive questa condizione nella propria quotidianità.
L’articolo di Neil King sul New York Times: How Cancer Prepared Me for Life Under Coronavirus
EMERGENZA CORONAVIRUS
In merito all’emergenza coronavirus, la Fondazione Bartolo Longo III Millennio ha disposto un presidio informativo e di supporto per i pazienti oncologici impegnati in cicli di chemioterapia.
Tutti i dettagli sono esposti nella sezione dedicata all’emergenza (CLICCA QUI).
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