A fronte di una grave patologia oncologica, è considerata “resiliente” la persona che dimostra la capacità di reagire in maniera positiva ed efficace a tutto quanto deriva dalla traumatica diagnosi, mostrando una migliore risposta alle cure e vivendo questa esperienza anche come una occasione di crescita personale
Periodicamente, il linguaggio dei “media” si arricchisce di neologismi capaci di assumere – fin dal loro primo approdo sulla carta stampata, nelle trasmissioni radio-televisive e nel WEB – una immediata popolarità, cui segue un diffuso e crescente interesse.
Ovviamente, a seconda dei contesti socio-culturali e di innumerevoli altre variabili, tale successo può rivelarsi – a lungo andare – più o meno effimero o duraturo.
Analogo fenomeno può verificarsi con parole già esistenti, fino a quel momento confinate in più ristretti contesti dialettici, ma parimenti capaci – per ragioni talvolta insondabili – di stimolare improvvisamente notevole attenzione ed interesse, e di acquisire uno spazio sempre più rilevante nella comunicazione in generale.
È quanto avvenuto, in anni recenti, con il termine “resilienza”, il cui uso (unitamente al relativo significato) ha varcato l’ambito specialistico entro il quale era stato precedentemente relegato, divenendo sempre più coinvolgente e ricercato nel nostro panorama linguistico.
In effetti, procedendo a ritroso nel tempo, già nell’Italia del Settecento erano in uso tanto il termine resilienza quanto il corrispondente aggettivo “resiliente” (derivanti dal latino “resiliens”, participio presente del verbo “resilire” che significa “saltare indietro”) ed entrambi allora riferiti a tutto quanto “rimbalza o reagisce”.
In seguito, questo termine (con il relativo significato) è stato fatto proprio dalla fisica che l’ha associato alla capacità di alcuni metalli di assorbire urti o tensioni, deformandosi temporaneamente, ma tornando sempre al proprio stato originario e, dunque, senza mai rompersi; più precisamente, è dotato di resilienza un materiale che – grazie alla propria elasticità – oppone resistenza alle più svariate tipologie di stress o sollecitazioni, le cui energie vengono prima assorbite e poi liberate nell’ambiente.
Ad un certo punto, è andato progressivamente affermandosi un uso figurato di tale concetto, che oggi è comunemente riferito alla capacità psicologica – propria appunto di una persona “resiliente” – di reagire ad un qualsivoglia trauma della vita e di riprendersi come e meglio di prima.
Orbene, con il termine “resilienza” è stato dato un nome nuovo alla virtù di una persona che – con spirito di adattamento – mostra la capacità di far fronte in maniera positiva a qualsiasi evento traumatico (forza esterna o traversia) dell’esistenza, così dimostrando una costante capacità di ripartire e rilanciarsi; insomma, di riorganizzare la propria vita dinnanzi ad ogni difficoltà.
In certi casi, la resilienza viene collegata a determinate caratteristiche o tratti di base della personalità di un individuo (autostima, ironia, ottimismo, capacità di autoregolazione e di “problem solving”), presenti già prima di un trauma e successivamente in grado di attivarsi e crescere al verificarsi di uno o più eventi negativi.
Sempre più di frequente, in psicologia si parla di resilienza, intesa come la capacità di mantenere o di recuperare il proprio equilibrio psichico allorquando ci si trova esposti ad un evento negativo (un trauma o una grave malattia), trasformando tale evento in una occasione di crescita personale.
A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, è stato promosso un percorso di ricerca definito “psicologia positiva” (orientato allo studio – in persone definite “normali” e in persone che hanno fronteggiato e/o superato gravi traumi o situazioni altamente stressanti – delle risorse psicologiche e contestuali che promuovono lo sviluppo cognitivo e affettivo, unitamente ad un soddisfacente adattamento all’ambiente). In tale ambito, è stato teorizzato che un individuo – fin dall’età pediatrica – può esprimere buone capacità di adattamento in situazioni altamente problematiche, facendo emergere risorse personali latenti non evidenziate in precedenza. L’insieme di queste risorse è stato definito, per l’appunto, resilienza.
Uno studio americano pubblicato su “SAGE Journals” ha analizzato un gruppo di giovani adulti (dotati di resilienza), sopravvissuti a varie forme di tumori e leucemie. Questo interessante lavoro ha evidenziato nei soggetti monitorati – a fronte di alcune difficoltà incontrate durante il percorso delle loro malattie – i seguenti positivi cambiamenti: maggiore maturità psicologica, maggiore empatia e solidarietà verso gli altri, acquisizione di nuovi valori e priorità, sviluppo di nuove capacità nell’affrontare le difficoltà della vita.
Dunque, si considera “resiliente” quella persona che – coinvolta in avverse circostanze – tende a fronteggiare con efficacia qualsivoglia contrarietà e a dare rinnovato impulso al corso della propria esistenza, fino a conseguire gratificanti risultati.
In particolare, nel caso di gravi patologie oncologiche, la persona “resiliente” diventa ancor più resistente (anziché più vulnerabile), mostrando una migliore risposta alle cure.
Secondo alcuni esperti, a livelli particolarmente elevati di resilienza in persone affette da gravi malattie tumorali può essere associata – oltre ai citati tratti di base della personalità, all’innata tendenza ad attribuire un senso compiuto a tutto quanto accade nella vita, al sostegno sociale e alla capacità di utilizzare ogni risorsa (umana e materiale) a disposizione – la “spiritualità”, da intendersi quale ricerca di un significato trascendente dell’esistenza (attraverso una religione, ma anche mediante l’ausilio di altri percorsi interiori o logico-filosofici).
Nel campo della psicologia oncologica, si considera resiliente la persona che dimostra la capacità di rispondere e reagire nel più efficace dei modi a tutto quanto deriva da una diagnosi di tumore.
È opinione diffusa che la resilienza – compatibilmente con il percorso medico vissuto dal paziente oncologico – possa essere in qualche modo “costruita” attraverso interventi strutturati, consistenti nell’insegnamento di strategie finalizzate alla gestione attiva di stress ed ansia, nell’induzione della consapevolezza e della capacità di operare per obiettivi.
A tal riguardo, particolare importanza è assunta dall’impiego di strategie di coping. Queste strategie si inseriscono nel più ampio concetto di resilienza e consistono nelle modalità che definiscono il processo di adattamento alla situazione stressante e fanno riferimento all’insieme degli sforzi cognitivi e comportamentali finalizzati alla gestione e al controllo della situazione medesima. In altri termini, le strategie di coping costituiscono il supporto adattivo e operativo che permette al paziente di gestire, ridurre o tollerare lo stress ed il conflitto.
Nel corso dei menzionati interventi, la resilienza sarebbe suscettibile finanche di una sorta di periodiche “misurazioni”, abbastanza attendibili, e tali da consentire la valutazione dell’efficacia del supporto reso.
La drammatica e dolorosa esperienza del cancro è contrassegnata da una serie di eventi potenzialmente traumatici, in grado di mettere a dura prova la capacità di resilienza del paziente.
Infatti, una persona da sempre in buona salute – in procinto di sottoporsi ad esami diagnostici o interventi di “screening” – può vivere un enorme carico di stress emotivo al solo pensiero di ricevere un eventuale responso infausto.
Per i pazienti che abbiano ricevuto una diagnosi negativa, c’è la prospettiva di dover affrontare innumerevoli cambiamenti nella vita quotidiana e di doversi impegnare in continui adattamenti per l’intera durata delle cure.
I sopravvissuti al tumore sono chiamati ad affrontare la sfida consistente nella necessità di adeguarsi a una “nuova normalità”, ovviamente diversa dalla precedente, e – nel contempo – di abituarsi a convivere con l’idea che il cancro possa manifestarsi nuovamente o che le terapie possano rivelarsi inefficaci.
Infine, per i pazienti chiamati ad affrontare la morte, residua la sfida diretta a persistere in una prospettiva comunque positiva, che consenta loro di trovare un significato compiuto anche alla ineluttabile fine della propria vita.
Il supporto psicologico per ogni malato di tumore ha quale obiettivo l’identificazione e la promozione della sua capacità di resilienza; ciò al fine di soddisfare i suoi bisogni psicosociali e di fargli comprendere quanto possa cambiare in meglio la sua vita, anche nella malattia.
Avv. Michele Ametrano
FONTI:
- Giuseppe Masera, Marcello Cesa Bianchi, Antonella Delle Fave – “The promotion of resilience: the new paradigm in paedriatic oncology” in Rapporto AIRTUM (2012). Link: https://www.registri-tumori.it/PDF/AIRTUM2012/EP37_1_s1_278_3-7.pdf
- Carla Parry, Mark A. Chesler – “Thematic evidence of psychosocial thriving in childhood cancer survivors” in SAGE Journals (2005). Link: https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/1049732305277860
- Virginia Valentino – “Il ruolo delle strategie di coping nella psicopatologia” in State of Mind (2019). Link: https://www.stateofmind.it/2019/03/coping-psicopatologia/
- Shelley E. Taylor, Annette L. Stanton – “Coping Resources, Coping Processes, and Mental Health” in Annual Review of Clinical Psychology (2007). Link: https://www.annualreviews.org/doi/abs/10.1146/annurev.clinpsy.3.022806.091520
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