La marijuana è lo stupefacente maggiormente diffuso e con percentuali di utilizzo in costante aumento, in particolare tra i giovani adulti. L’associazione del suo consumo con lo sviluppo (o il contenimento) di una malattia oncologica risulta alquanto variegata e ambivalente
In Europa e nel mondo intero, la marijuana – sostanza ricavata dalle foglie e dalle cime delle infiorescenze essiccate della canapa indiana (Cannabis sativa indica) – è lo stupefacente maggiormente consumato, con percentuali di utilizzo in costante aumento, in particolare tra i giovani adulti.
La marijuana viene assunta prevalentemente fumandone le infiorescenze frantumate, le quali possono essere anche adoperate per infusi o incorporate nel cibo.
Allorquando viene fumata, i suoi effetti si manifestano entro pochi minuti, protraendosi per un’ora ed oltre. Nel caso in cui venga ingerita, solitamente la sua azione si rivela non prima di 30-60 minuti, perdurando per diverse ore.
La marijuana è dotata di azione psicotropa, vale a dire capace di modificare lo stato psico-fisico. Di solito, il suo consumo induce iniziali sensazioni soggettive di benessere, ma talvolta può cagionare depressione.
Dalle ricerche compiute, sono stati delineati gli effetti specifici di questa sostanza che si concretano nei seguenti termini: modificazione dello stato di coscienza e dell’umore (l’individuo risulta svagato, rilassato e propenso alla risata), diminuzione della capacità di pensiero, memoria, concentrazione o soluzione dei problemi, riduzione dei riflessi, alterazione della coordinazione dei movimenti o del senso del tempo (il cui scorrimento è avvertito come “rallentato”), alterazione della percezione dei suoni o dei colori (che appaiono più vividi), aumento dell’immaginazione, facilitazione dei collegamenti casuali tra diverse situazioni, nonché – in caso di assunzione in dosi elevate – stati di panico, paura della morte e allucinazioni. In situazioni estreme, il consumo eccessivo di marijuana può dar luogo a una vera e propria psicosi, in grado di generare manie paranoidi, confusione e altri sintomi analoghi.
L’uso prolungato e regolare di marijuana consentirebbe la comparsa di una condizione duratura di apatia e assenza di preoccupazioni, definita “sindrome amotivazionale”.
Secondo alcuni studi, il soggetto che fa uso regolare di marijuana può diventarne fisicamente dipendente.
In verità, altri studi scientifici comprovano taluni benefici per la salute apportati da questa sostanza.
Per altro, in casi ben definiti, ne è prevista la prescrizione per uso medico (ad esempio, per eliminare il dolore resistente alle terapie convenzionali, per contenere nausea e vomito in caso di trattamenti chemio o radioterapici, per stimolare l’appetito, per ridurre i movimenti involontari del corpo e del viso).
Tuttavia, le informazioni attualmente disponibili sul legame tra marijuana e salute risultano ancora limitate.
Anche l’associazione del consumo di questa sostanza con lo sviluppo (o il contenimento) di una malattia oncologica risulta alquanto variegata e – sotto alcuni aspetti – ambivalente.
A tal riguardo, argomentando a titolo puramente esemplificativo, se da un lato è stato appurato che alcuni “proto-oncogeni” (geni che possono diventare oncogeni) risultano sovra-espressi nell’epitelio bronchiale dei fumatori di marijuana con maggior frequenza di espressione genica rispetto a quella dei fumatori di solo tabacco, in senso completamente opposto si è visto che i “cannabinoidi” (incluso il “tetraidrocannabinolo”, ingrediente psico-attivo primario della marijuana) possono inibire la proliferazione di alcune cellule tumorali, impedire l’angiogenesi in vitro o ridurre la crescita del cancro in alcuni modelli animali.
La difficoltà nello studio e nella comprensione degli effetti tossici e terapeutici della marijuana è collegata alla circostanza che le foglie e le infiorescenze della pianta – usate con le modalità in precedenza descritte – producono una vasta e diversificata gamma di sostanze; ad oggi, ne sono state individuate quasi 750 (numero peraltro in continuo aumento), e di alcune non sono ancora noti gli effetti.
A questo punto, è opportuno rammentare che un gruppo di ricercatori statunitensi coordinati dal Professor Mehrnaz Ghasemiesfe dell’Istituto di Ricerca e Istruzione della California del Nord ha compiuto un interessante studio – recentemente pubblicato sulla rivista Journal of American Medical Association Network Open – dal quale è emerso che fumare regolarmente marijuana (uno spinello al giorno per un anno) potrebbe aumentare, negli adulti, il rischio di sviluppare tumori ai testicoli rispetto al rischio cui sono esposti gli uomini che non ne fanno uso.
Il team di ricerca coinvolto nello studio citato – con l’intento di individuare la possibile relazione causale tra cannabis e cancro – ha effettuato una “meta-analisi” (tecnica clinico-statistica avente lo scopo di riassumere i dati provenienti da precedenti ricerche in àmbito scientifico e medico) e una revisione sistematica dei dati provenienti da 25 studi condotti tra l’1 Gennaio 1973 e il 30 Aprile 2019, che avevano provato a individuare l’eventuale associazione tra il consumo regolare di marijuana e il rischio potenziale di sviluppare alcune tipologie di cancro, tra cui il carcinoma a cellule squamose della testa e del collo, il tumore polmonare, il carcinoma a cellule squamose orale e il tumore a cellule germinali del testicolo (TGCT).
Dall’incrocio dei dati disponibili non sono risultate relazioni statistiche tra il consumo quotidiano di marijuana e lo sviluppo delle varie forme di tumore, fatta eccezione per il cancro ai testicoli (neoplasia che rappresenta soltanto l’1% dei tumori maschili, ma che risulta la forma di cancro più comune negli uomini di età compresa tra 15 e 35 anni).
Più precisamente, per i consumatori di lungo corso, che fumano quotidianamente marijuana da 10 anni ed oltre, tale rischio risulterebbe superiore del 36% rispetto a quello cui sono esposti gli uomini che non fanno uso di tale sostanza stupefacente.
Per quanto risulti particolarmente significativo l’emersione di un chiaro legame soltanto col TGCT (e non con le altre neoplasie prese in esame), è opportuno evidenziare che trattasi dell’esito di uno “studio statistico di associazione”, di per sé non idoneo a dimostrare un rapporto di causa-effetto (nesso di causalità) e, dunque, non in grado di spiegare il motivo per il quale la cannabis cagionerebbe il cancro ai testicoli.
Dunque, in considerazione di tutto quanto esposto ed argomentato, appare oltremodo evidente la necessità di procedere a ricerche sempre più approfondite su un fenomeno dalle innegabili implicazioni sociali, oltre che sanitarie.
Avv. Michele Ametrano
FONTI:
- “A-Z Home Medical Encyclopedia” (Dorling Kindersley Limited, London 1989)
- Mehrnaz Ghasemiesfe, Brooke Barrow, Samuel Leonard, Salomeh Keyhani, Deborah Korenstein – “Association Between Marijuana Use and Risk of Cancer: A Systematic Review and Meta-analysis” in Journal of American Medical Association Network Open, 27/11/2019, Volume 2, Number 11:e1916318.
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